Avetrana Manduria San Pancrazio Salentino
Secondo alcuni studi le pozzelle, ormai quasi in disuso, risalirebbero al XVIII secolo se non molto prima. Infatti notizie che si rinvengono nelle antiche mappe cartografiche e in fonti risalenti al cinquecento testimoniano la presenza, in tutto il territorio salentino, di numerosi lacchi, ovvero depressioni del terreno dove si raccoglieva l’acqua piovana per l’utilizzo domestico, l’agricoltura e l’allevamento del bestiame. Proprio in queste doline furono scavati “li puzzeddhi” (pozzelle), alcuni collegati tra loro e provvisti di due o più aperture dalle quali passava l'acqua piovana che si raccoglieva nella parte inferiore della cavità artificiale, trattenuta dal terreno argilloso circostante. La maggior parte dei pozzi erano utilizzati pubblicamente, dato che la raccolta dell’acqua era regolamentata dalle Università (i Comuni), mentre nei rari casi di famiglie abbienti, l’utilizzo era privato. Fu così che, in un territorio vasto e infecondo che, nonostante tutto, ha assistito all’insediamento di numerosi popoli, si riuscì a ovviarealla scarsità di sorgenti in superficie. La ricerca di acqua nel sottosuolo e la conoscenza della friabilità della pietra locale indusse i contadini a scavare i loro pozzi rivestendoli con pietre calcaree permeabili. La tecnica costruttiva delle pozzelle rimanda a quella de “li caseddhi “ in pietra a secco. Infatti la loro struttura ipogea è molto simile a trulli interrati che in cima presentano una recinzione di forma quadrata, detta “vera” , formata da un masso forato nel mezzo e quattro conci di tufo messi intorno. Molte di esse furono in seguito munite di puteale, un parapetto che proteggeva la bocca del pozzo, variamente decorato esternamente e completato da una struttura in legno o marmo, che serviva a sostenere la carrucola per sollevare i secchi pieni d'acqua mediante una fune. Questa eredità culturale lasciataci dai nostri progenitori, come gli ulivi e le viti, ha sfidato il tempo e ancora vive e dà vita.
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